How we live now: una progettazione più inclusiva è possibile

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How we live now: una progettazione più inclusiva è possibile

How we live now: una progettazione più inclusiva è possibile

 

Progettare edifici e spazi della città affinché questi siano più inclusivi e pronti a rispondere alle diverse esigenze di chi dovrà abitarli o usufruirne è fra gli obiettivi che architettura e ingegneria sono chiamati a perseguire nel prossimo decennio per realizzare una progettazione sempre più inclusiva e sostenibile.

L’esposizione e il movimento Matrix

Il tema è al centro della mostra in programma fino al 23 dicembre al Barbican di Londra, dove sarà possibile visitare “How we live now” e partecipare a un programma di eventi che puntano ad avviare una discussione e una riflessione su spazi pubblici e ambienti progettati. Si parte dal lavoro svolto dalla cooperativa di architettura e design femminista “Matrix” attiva negli anni ’80.

Il movimento si propose in contrapposizione al sistema di costruire le città pensato da Le Corbusier. Erano gli anni ’40 quelli in cui l’architetto franco-svizzero ipotizzò una progettazione pensata più per gli uomini alti un metro e ottanta. Quarant’anni dopo Matrix proponeva, non esistendo una progettazione di strutture di tradizione femminista, di esplorare invece un cambiamento vedendo gli edifici e gli spazi da una prospettiva diversa, quella delle donne che spesso quegli ambienti li vivevano più degli uomini.

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In riferimento a quel periodo, ad esempio, le donne portavano più degli uomini passeggini e carrelli per la spesa in giro per la città o negozi; accudivano i figli in casa per cui prediligevano spazi aperti come ad esempio una cucina che permettesse loro anche di controllare i bambini che giocavano nel salone o ampie finestre per guardare i piccoli in giardino.

L’esempio e il futuro

Tra gli edifici emblematici degli anni ’80 pensato dalle donne di Matrix c’è il centro femminile Jagonari del quartiere Whitechapel che oggi è un asilo nido. Un ambiente pensato per tutti, capace di aprire i propri spazi alla diversità di corporatura e di abilità, contribuendo anche a liberarci dall’idea del diverso.

Ed è proprio dalle idee di queste donne che dovrebbe prendere spunto l’architettura del futuro, per disegnare città più vicine a un femminismo intersezionale, inteso nel senso di incontro tra di diverse identità sociali senza oppressioni e discriminazioni.

L’obiettivo era allora, e lo è ancora oggi, quello di proporre non un’estetica femminista ma un modo di guardare e progettare edifici e città del futuro tenendo conto dei bisogni e dei desideri di persone con esigenze diverse. La diversità deve essere vista come ricchezza e mai come un limite.

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